Ilaria: veterinaria, ricercatrice, virologa, moglie, madre , ma anche figlia di famiglia borghese burrascosa, enfant prodige per caso, trafficante di virus arrogante e zoccolaccia, così han detto.

Attraversare la vita di Ilaria è una continua virata tra panorami diversi, tra la ricerca costante e caparbia della costruzione di sé e la decostruzione minacciosa e senza scrupoli che di lei viene fatta.

“C’è qualcosa di ancora più doloroso che mi ferisce dentro. Come hanno potuto credermi una persona talmente avida, calcolatrice, ignobile? No, quella descritta nell’articolo non posso essere io. Non mi somiglia neanche”.

“Non metterla così” riprende lui “prendila da un punto di vista oggettivo. Scientifico. Che succede quando un animale entra in conflitto con il branco? Lo sai? Il branco prima lo esclude e poi lo uccide”.

Questo, forse, il dialogo di sintesi che ripercorre i punti più significativi della crisi, o meglio, delle crisi che Ilaria attraversa nella sua vita. Ogni crisi è un cambiamento, per dirla metaforicamente, simile al mutamento di un virus. “Un virus non è un mostro, sapete? E’ una macchina molto semplice, leggera, incentrata su un obiettivo…direi anche elegante”.

L’obiettivo per Ilaria è chiaro: fare della scienza un’occasione di salute integrale (one health) , in cui la ricerca non è un’attività ispirata e solitaria, come spesso viene raccontata, ma l’occasione di crescere insieme, di condividere metodi e prassi migliori, un modo, tra altri, di cooperare.

Da Teramo a Padova, fa crescere laboratori di ricerca, facendo sì la ricercatrice, ma anche altro. Dalla fundraiser alla sorella maggiore, perché sì, servono risorse, ma vanno coltivate le relazioni. Sfida con fermezza la cultura tecnocratica e le cerchie di potere, non negandole ma offrendo alternative. Nel 2005, in piena epidemia aviaria, condivide la sequenza genetica del virus identificata dall’Istituto zooprofilattico sperimentale delle due Venezie, dove lavora, in un data base open access, causando una rivoluzione copernicana per il mondo della ricerca alimentato di soluzioni segrete e accesso alle informazioni differenziato a seconda del potere e del riconoscimento differenziato dei diversi laboratori.

Eppure, la sua apertura è scomoda, la sua determinazione fraintesa, la curiosità sul suo operato si trasforma, anche, in intercettazioni e nel 2007 Ilaria scopre l’esistenza di indagini giudiziarie sul suo conto, di cui ignorerà, in dettaglio, l’oggetto fino al 2014.

Ma lei, a differenza di un virus, è un essere vivente che deve fare i conti con ciò che sente: paura, incertezza, desiderio, voglia di ossigeno. Una donna che oltre al lavoro deve misurarsi costantemente con la sua vita privata, con una figlia che rischia la vita alla nascita, la perdita di un padre, un compagno che viene trascinato nelle accuse e che lei si sente di dover proteggere.

In questi anni, però, “fragile ma sul pezzo” non molla. Si rimette in gioco professionalmente, valutando anche altre opportunità all’estero, ma tornando sempre a scegliere l’Italia, attaccandosi ad ogni speranza di cambiare il sistema da dentro.

Per farlo, intraprende anche la via dell’impegno civico, quando viene eletta deputata nel 2013 con Scelta Civica. Un modo di stare nelle stanze dei bottoni, sperando di dare un contributo concreto al cambiamento del Paese. Eppure proprio l’Italia, quel Paese che lei sembra non essere disposta a perdere, la abbandona nel 2014, quando con l’uscita di un articolo d’indagine su L’Espresso si ritrova una trafficante di virus.

Inizia, come lo definisce lei, lo stress test delle relazioni, perde amicizie, riconoscimento, ma non smette, mai, di provare a raccontare il suo punto di vista, la sua verità, il suo obiettivo di vita.

E’ il 2016 quando, però, decide che è ora di perdere, scavallare e mettere in moto la macchina di cambiamento, perché il tempo ha il suo valore e il processo potrebbe durare ancora tre, cinque o dieci anni.

Torna sui suoi passi, sulle offerte professionali fuori dall’Italia, ritorna a candidarsi per una posizione da Direttore del Centro di eccellenza in One Health (salute integrata), in Florida, dove, già da tempo, la aspettavano. Al di là dell’oceano sembra che tutto l’incubo vissuto qui, a casa, nella sua Italia non importi a nessuno, anzi, che vogliono proprio lei. E lei cede.

Sì, cede, perché per Ilaria questa non è una vincita, ma una perdita: dover abbandonare il suo Paese è forse la fatica più grande che si trova ad affrontare “Possono portarmi in capo al mondo, ma la mia testa è collegata al cuore. E resterà sempre una testa italiana”. E questa volta è lei a dover fare una rivoluzione copernicana su se stessa, a guardarsi con un po’ di distanza e con occhi altri.

Nell’estate 2016, il 5 luglio, quando ormai Ilaria è in Florida arriva l’esito della vicenda giudiziaria: prosciolta, per insussistenza dei fatti. Un masso che diventa una bolla di sapone.

Ilaria è spaesata, guarda il cielo, terso e immenso, non è quello italiano, ma il cielo è lo stesso da tutte le parti del mondo. E’ la stessa cosa per i sogni, perché, come ci ricorda Ilaria, lo cantano anche i Beatles: “It’s been a hard day’s night, and I’ve been working like a dog” e come cani abbiamo faticato tutti insieme. Ma c’è fatica e fatica, quella per un sogno ha un peso completamente diverso”,

Per questo ci piace ritrovarci in Ilaria, cooperare può mettere fortemente in crisi il nostro chi siamo e dove andiamo, possiamo lottare per rivoluzioni copernicane importanti, ma dovremo sempre partire da quelle su noi stessi.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here