Chiusi nelle nostre case, stiamo vivendo un tempo inaspettato. Alcuni parlano di un tempo di guerra, altri di un tempo di cambiamento, forse solo un tempo incerto.

Credo che ognuno di noi, nelle 24 ore che compongono il giorno, passi da sentimenti di paura, di rabbia, di solitudine a sentimenti di coraggio, di speranza, di comunione.

Si alternano, ci prendono, a tratti ci rapiscono.

Ci sono poi altri momenti in cui la nuova “routine” delle 4 mura ci distrae, ci anestetizza e ci placa. Una delle nostre più grandi qualità, l’adattamento, che ci ha concesso nei millenni, di arrivare fino a qui, oggi ci ha permesso di passare in un baleno, dall’essere in continuo movimento, allo stare quasi fermi, nel corpo e nella visione del futuro.

In attesa di questo futuro, rischiamo di “accettare quello che verrà” e di arrivarci impreparati. Senza un tentativo di analisi e di comprensione che ci permetta realmente di “accorgerci” di quello che sta succedendo e di attrezzarci, nel tentativo di ipotizzare modelli nuovi e diversi stili comportamentali, consapevoli che, in un tempo ambiguo, in cui si generano diverse possibilità interpretative, “sbagliare” diventa la regola.

Ecco, forse questa sarà una certezza, dovremo accettare di errare, di non avere subito le risposte giuste, di vivere un tempo quasi limbico.

I tentativi interpretativi già oggi si moltiplicano e spesso assistiamo a ipotesi in netta contrapposizione, quasi un bianco e un nero di certezze, senza sfumature, figlie di un sistema, quello che abbiamo vissuto fino a qui, dove gli elementi che lo compongono sembrano tutti “solisti” incapaci di confronto e di collaborazione, anche quando in gioco c’è il nostro futuro.

Il punto da cui partire potrebbe proprio essere questo: il vero confronto collaborativo tra i diversi attori della scena politica, economica e sociale del nostro paese e di una trasformazione interna di ognuno di essi; un confronto il cui obiettivo comune sarà quello di individuare una nuova e unitaria scala di valori al cui apice debbano esserci l’uomo e la natura

Si tratta di sedersi ad un tavolo di confronto, finalmente liberi dalle proprie certezze e ponendosi in ascolto empatico delle posizioni/idee dell’altro; liberi da quei pregiudizi di fondo connaturati a qualsiasi organizzazione, a qualsiasi sistema.

Si tratta di lasciare andare il vecchio modo di guardare al futuro, di farlo “morire”, per far sorgere il nuovo che possa diventare garante di un’identità universale generata dalla perdita delle proprie identità particolari.

Nel 2000 alcuni scienziati hanno ipotizzato che la terra si trovasse in una nuova era che hanno chiamato Antropocene. Alla base dell’ipotesi dell’Antropocene c’è l’idea che storia naturale e storia umana non possano più essere distinte. L’uomo sta trasformando la terra ma la trasformazione dipenderà dal tipo di uomo e di società che la agiranno.

Abbiamo quindi una enorme responsabilità nei confronti di questo pianeta, del suo futuro e delle future generazioni che lo abiteranno, ed è quindi necessario porsi in un’ottica unitaria ed universale per assumere le decisioni che ci riguarderanno.

E la cooperazione in tutto questo?

La cooperazione è uno degli attori che devono entrare in questo nuovo confronto ma ha anche, come gli altri, la necessità/responsabilità di trasformarsi al suo interno.

Deve guardare il buono che c’è dentro di lei ma è soprattutto fondamentale che analizzi il non-buono, le storture e le incoerenze che la abitano.

Deve riflettere sull’identità che esprime e deve cercare di armonizzarla con la nuova identità universale necessaria.

E’ il tempo di ricomporre la scala dei valori, di scendere dal piedistallo da cenerentola, di abbandonare l’autoreferenzialità delle élite e di collocarsi in un’ottica di apertura e ascolto orizzontale.

Ci siamo posti fino ad oggi immaginandoci di essere, in virtù della nostra forma giuridica, cooperativi per diritto, senza accorgerci che spesso la nostra autoreferenzialità ci impedisce di esserlo realmente nel metodo di lavoro e nell’interazione con gli altri: proprio come quando in una discussione non riesci più a cogliere il senso del contendere e invece di ammetterlo e chiedere agli  altri di aiutarti a fare sintesi, ti senti messo in discussione e reagisci alzando la voce o inventandoti una scusa per sottrarti all’impaccio

Abbiamo necessariamente bisogno di ripartire da qui, dal significato profondo del cooperare per iniziare il nostro cammino di trasformazione

1 COMMENTO

  1. Chi fa cooperazione sociale deve ripartire dalla considerazione del pane quotidiano e di ciò che banalmente e comunemente definiamo come il fai da te … l epidemia ha ribaltato una prassi comune e innaturale legata agli acquisti, al comprare… fino a poche settimane fa si faceva in casa solo ciò che si sceglieva di non acquistare… Poi all improvviso ci siamo trovati ad acquistare solo ciò che non riusciamo a fare in casa … ed è quasi diventata introvabile la farina… penso che il virus abbia pro-vocato i cooperatori a ricercare il pane quotidiano della cooperazione sociale e soprattutto il senso e l’importanza di tornare a farlo in casa… forse anche, potremmo dire, per fare casa. Perché anche noi cooperatori siamo un pezzo di comunità e di mercato in cui si produce, si vende e si compra… la cooperazione produce e vende assistenza, nelle scuole, nelle case di riposo, nei centri per la disabilità… la progetta e la realizza in risposta alle domande che emergono dal mercato dei bisogni delle persone fragili… e guai se non ci fosse tutta questa assistenza… Ma forse oggi non basta più… Non bastano più i servizi esistenti per la comunità e non basta più per la cooperazione agire in risposta alle domande… Forse Covid ha accelerato improvvisamente la necessità di una transizione e di un cambiamento che avevamo già intravisto in cooperazione… riportare al centro dell interesse cooperativo il fare comunità… e ancor più improvvisamente ci ha consentito di capire che scarseggiano anche al nostro interno la farina e il lievito… ci siamo cristallizzati sulla produzione industriale della “micchetta” ed abbiamo perso la vocazione a fare il pane fatto in casa…. abbiamo venduto assistenza standardizzata ma abbiamo perso la capacità di aiutare le persone ad aiutarsi… credo si debba ripartire da qui per cambiare il presente e ridisegnare un futuro più sicuro e sostenibile… scegliendo di produrre legami e relazioni che valorizzino il potenziale di cura che ogni comunità può esprimere… si sceglie un posto letto in casa di riposo quando si è soli e sradicati da un contesto di vita… oggi bisogna agire sui contesti per renderli meno esclusivi… lo si può fare aiutandoci a progettare la nostra quarta età, senza rimuoverla… ma assumendola come una sfida… scoprendo i vantaggi di un fai da te progettuale in cui ciascuno di noi riprogetta la sua vita e la sua condizione abitativa per prevenire la solitudine e lo sradicamento personale… il tema non è ripensiamo alla sicurezza delle strutture per anziani o agli standard dei servizi per persone con disabilità… il tema è riprendiamoci il futuro, progettandolo a tutela e promozione della nostra dignità… È su questo terreno che la cooperazione sociale deve riprendersi il favore e il riconoscimento che la costituzione le attribuisce…

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