… olistico, globale: concentrarsi solo sugli aspetti specialistici toglie l’attenzione dalla visione d’insieme. La frammentazione nell’approccio al business è perdente, perché perdi di vista il contesto e non sei efficace. Ti faccio un esempio banalissimo: è inutile dotare le persone di strumenti informatici superpotenziati e con mille protezioni se non lavori per alzare, contemporaneamente, il livello di consapevolezza degli utenti stessi nell’uso delle password. Quando progetti ed eroghi servizi il contesto è fondamentale per essere efficace ed avere successo; e la persona che sperabilmente comprerà i tuoi servizi non è irrilevante in termini di età, bisogni, limiti, … E’ centrale, è il punto di partenza.
Questa visione del business ha molte implicazioni sul nostro modo di vedere e gestire l’impresa. Come per i servizi, non posso pensare alla mia impresa in modo verticale, non funzionerebbe: devo vederla orizzontale, integrata, contestualizzata nella comunità – fatta di persone – in cui opera. Quando è arrivato il Covid, se non avessi guardato alla salute ad alla sicurezza delle persone sarei stato poco lungimirante: io ho quelle, la mia azienda si basa su quelle. Non potevo aspettare i protocolli, abbiamo agito subito.
Ecco, forse il fatto che noi lavoriamo con una responsabilità sociale alta è probabilmente figlio del nostro modo di concepire i servizi che offriamo: integrati.
Per garantire il futuro dell’azienda e il benessere di coloro che ne fanno parte quali funzioni o attività della stessa sarebbe disposto a mettere in secondo piano?
Il controllo. L’applicazione della soluzione più facile e immediata per risolvere i problemi. La decisione verticistica: quando è dura deve essere dura per tutti. Non ho mai applicato meccanismi incentivanti la vendita per costruire l’attaccamento dei dipendenti perché penso sia un autogoal: uno poi vende di tutto per prendere il premio, ed è un casino per chi quei servizi li deve poi implementare.
Io e il mio socio abbiamo rinunciato anche al nostro stipendio, in alcuni periodi. O abbiamo temporaneamente abolito i vari benefit per i dipendenti (es. ticket restaurant, full optional sull’auto, etc.): ma è sempre stata una cosa condivisa. Sempre.
Non rinuncerei mai, invece, alla professionalizzazione di chi lavora in azienda; e sono molto restio a lesinare sulle spese di comunicazione.
Chiaro che se fossi ansioso morirei. Perché tra me e i dipendenti si crea una sorta di patto, ma non scritto. Ricordo che una collaboratrice un giorno mi disse “Ho un problema, sono incinta”. Quale problema?! Per me è un’occasione di fidelizzazione! La mia ricchezza, in termini professionali, è data dalla competenza delle persone: su questo non lesino. Se una persona competente va via per me è un disastro. Anche perché le persone che se ne vanno, vanno poi dal tuo concorrente…
Qual è secondo lei una strategia vincente per il futuro produttivo del Paese? Quali elementi occorre rinforzare e quali abolire?
Bisogna fare più cultura d’impresa e, al contempo, rafforzare l’idea dell’impresa di cultura. Ci sono tante iniziative locali nelle quali la nostra azienda è coinvolta e grazie alle quali è cresciuta; iniziative che mi danno una grande soddisfazione, ma che dalle quali nascono anche occasioni di business. Va rafforzata l’idea che dalle relazioni, oltre che esperienze positive, nascono sempre opportunità concrete. Quando mi chiedono di dare una mano allo sviluppo di progetti territoriali sono molto restio a erogare contributi economici filantropici: preferisco di gran lunga che la mia azienda si metta in gioco portando in campo quello che sa fare, mettendo a disposizione la propria professionalità e la propria competenza. E ciò, se non sei un cretino, diventa anche un modo per farti conoscere. Il fine iniziale non è la visibilità, è il giocare la partita: poi se giochi e giochi bene gli altri lo vedono. Quest’idea viene molto dalla mia formazione, dalla mia storia: il mondo degli scout mi ha trasmesso tanto in termini di gioco di squadra, di gruppo, di obiettivi condivisi, di attenzione al contesto. Per anni sono stato un lavoratore dipendente: poi io e il mio socio, 25 anni fa, abbiamo deciso di costituire un’impresa, una start up. E mi sono detto “per una vita ti sei allenato a fare una certa cosa; se ora che puoi giocare la partita non lo fai come si deve, stai sprecando il tuo vantaggio!”.
Uno dei grossi problemi del nostro Paese, però, è che molte imprese si sentono delegittimate perché il sistema al quale appartengono – la piccola impresa – è troppo spesso descritto come un insieme di realtà che un po’ sfruttano, un po’ inquinano, un po’ evadono. Ma ti assicuro che non è così. C’è sempre il pirla del quartiere, ovviamente; ma nella maggior parte dei casi non è così. E bisognerebbe raccontarlo, anche a livello di sistema Paese. Molti osservatori del “sistema impresa” italiano raccontano chiaramente che, a livello nazionale, molte delle piccole imprese sono orientate ad una logica di collaborazione, di responsabilità, di relazione col contesto. Bisogna dirlo, più spesso!
Quale legame strategico tra impresa-finanza-sociale?
Il sistema bancario, oggi, fa molta fatica a capire e quindi a rispondere ai bisogni delle imprese. L’Italia è fatta da tantissime piccole imprese, con bassa capitalizzazione; e proprio la bassa capitalizzazione è uno degli ostacoli all’erogazione del credito da parte degli istituti bancari. Oltre a ciò, l’altro grosso problema è che il sistema bancario non valuta l’intangibile: io non ho capannoni (sono in affitto), non ho attrezzature, ma ho 40 dipendenti su ciascuno dei quali ho investito migliaia di euro in formazione e con un turnover praticamente inesistente! Questo non è “capitale”?! Ad onor del vero, devo dire però che se guardo alla mia esperienza le banche non mi hanno mai negato ciò che mi serviva: trasparenza ed onestà, conti perfettamente in ordine, posizionamento chiaro, radicamento territoriale e pacchetto clienti solido sono sempre stati sufficienti a farmi dare ciò che mi serviva. Certo, non che abbia chiesto miliardi… Se tu guardi sempre e solo i numeri, non ne esci. Ad esempio: io non sono per l’azzeramento del debito pubblico, ma – dico – togliamogli uno zero. Il debito continua ad aumentare, la probabilità che gli Stati lo saldino è nulla: che senso ha raccontarci balle? Il tutto si basa su una convenzione: e allora cambiamo la convenzione!
Tre anni fa abbiamo anche creato una rete d’impresa costituita da 5 realtà, una delle quali impegnata in comunicazione digitale; e lì abbiamo anche iniziato a parlare di credito di filiera.