Ci sono temi che -da cooperatori, da persone animate dalla passione per la giustizia- ci trovano sempre attenti. La questione delle disuguaglianze è una di queste. Eppure…
Alice ha 13 anni ed è anni affetta da una forma di autismo che rende difficili la sua partecipazione alla vita didattica e sociale della classe. Dall’inizio dell’anno vede i suoi compagni giocare e imparare. Lei passa le sue giornate seduta da sola al banco, senza fare alcuna attività, quasi sempre sola. La scuola non ha ancora nominato l’insegnate di sostegno: problemi burocratici e di graduatorie.
Filippo fa l’educatore in un centro di aggregazione giovanile comunale gestito da una cooperativa sociale. A volte i parenti gli chiedono quando si troverà un lavoro vero, come sua sorella che è insegnate. La professionalità e la laurea di Filippo contano poco: lo dimostrano lo stipendio che prende e il fatto che l’appalto che la cooperativa ha vinto non preveda un tempo congruo per progettare e verificare. Conta solo l’attività coi ragazzi.
Due storie, molto diverse. Ma anche due declinazioni di uno stesso tema: le disuguaglianze sono ovunque, ogni sistema sociale ne produce perché produce disparità di condizioni e di opportunità, e in qualche misura ci sono disuguaglianze tollerate o accettate culturalmente: in Italia-ad esempio- non c’è una diffusa e immediata percezione di ingiustizia in merito al gap salariale tra gli uomini e le donne, o il diverso accesso alla carriera tra cittadini italiani e persone migranti o addirittura figli di migranti.
La questione è quanta e quale disuguaglianza siamo disposti ad accettare, come recita il titolo di un interessante articolo di Startmag[1] che, citando il sociologo Arnaldo Bagnasco sottolinea come “disuguaglianze che prima erano silenziose o tollerate perché senza rappresentanza e senza forza, ora si fanno avanti sulla scena pubblica e politica. Nelle nostre società che cambiano, la disuguaglianza si presenta dunque in nuovi modi.”. Bagnasco poi individua tre questioni sulle disuguaglianze che descrivono la situazione attuale:
- Il riemergere delle disuguaglianze di reddito e di ricchezza, dopo una fase di rallentamento durata alcuni decenni fino al boom economico e agli anni ’80. Da allora la parte più povera della popolazione può contare solo sulla ricchezza salariale, mentre la parte ricca cumula altri stipendi ed ingenti patrimoni.
- La concentrazione della ricchezza, mitigata dalla funzione redistributiva del welfare fino agli anni Ottanta, torna ad esplodere con violenza. Cita ancora l’articolo do Startmag: “Diminuiscono i posti di lavoro, cresce il lavoro precario, le opportunità di vita diventano incerte per fasce importanti della popolazione e diventano più disordinate le sequenze del ciclo di vita. Se in precedenza si era verificata una tendenza all’inclusione sociale, nelle nuove condizioni si vedono forze che giocano in senso inverso. Possiamo dire che si tratta di correnti di polarizzazione sociale, che fanno scivolare verso il basso fasce di popolazione, mentre altre riescono a mantenere posizioni migliori.”
- Le disuguaglianze diventano più sfaccettate: al venir meno di classi numerose ed omogenee della popolazione, emergono segmenti sociali più piccoli e non assimilabili, che esprimono disuguaglianze sociali che chiedono di essere riconosciute per superare condizioni vissute come discriminanti: sono disuguaglianze che riguardano il genere (migliorate ma ben lontane dal superamento), generazionali (a partire dal lavoro che tutela i vecchi assunti e propone il precariato alle nuove leve), etniche e culturali (evidenziate dai fenomeni migratori), di orientamento sessuale, di luogo di vita,… Queste disuguaglianze si combinano in modi diversi fra loro, interagiscono anche con la dimensione del reddito e della ricchezza, ed enfatizzano l’individualizzazione delle condizioni e delle relazioni delle persone.
Certo il tema dell’uguaglianza come valore deve misurarsi con il valore della libertà individuale e con il diritto ad esprimere differenze.
Specularmente ci sono disuguaglianze che legittimiamo in talune circostanze, appoggiandoci ad argomenti condivisi o anche solo a retoriche. La fin troppo citata frase ‘Prima gli italiani’, ad esempio, viene citata da chi ritiene che trattare in modo diseguale persone migranti sia legittimo e persino doveroso.
Rubiamo la chiusura all’articolo di Startmag: “Non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi. Ma la domanda insistente che interroga la coscienza civile è: quanta e quale disuguaglianza siamo disposti ad accettare?”
[1] Startmag – articolo di Michele Magno: https://www.startmag.it/mondo/quanta-e-quale-disuguaglianza-siamo-disposti-ad-accettare/